Avvicinamento all’opera di Massimo Mori

 

di Riccardo Merigioli

 

 

Introduzione

Il mio avvicinamento all’opera Poematica del principio Tai Chi è avvenuto, si direbbe, quasi per caso. Un regalo da parte di mio fratello Enrico, che non conosceva la portata di quest’opera e la levatura del suo autore.
L’opera del Maestro Mori viene così descritta da Amina Crisma:

[…] un versatile percorso capace di interpretare, di coniugare, di riformulare creativamente discipline diverse, saldando in un’unica esperienza la pratica e l’insegnamento del Taijiquan e del Qi Gong a interessi scientifici, terapeutici, filosofici, letterari, a una riflessione in chiave sapienziale suffragata da un vasto ventaglio di frequentazioni di testi antichi e moderni, cinesi e occidentali: un percorso di crinale, insomma, il cui intento programmatico si può emblematizzare nel nome – Nuovo Orizzonte Olistico – della scuola fondata da Mori a metà anni Novanta.1

Leggendo l’opera i confini che separano arte, scienza, filosofia, partica del corpo, sfumano sempre più fino ad arrivare all’assoluta comprensione che tutto è riconducibile al Principio superiore Tai Chi, discendente dall’inconoscibile Tao.
Quest’opera, il cui autore devo ringraziare, è stata di grande ispirazione per le ricerche che sto portando avanti riguardo come l’Oriente e l’Occidente guardano al rapporto mente-corpo. Già da diversi anni ricerco all’interno della storia della filosofia sentieri che possano connettere Oriente e Occidente, e, leggendo Poematica del principio Tai Chi, se ne possono trovare diversi. Come scrive il Maestro Mori: “Oriente ed Occidente devono incontrarsi per eliminare gli aspetti negativi e riunire armoniosamente ciò che qualifica differenti tradizioni con radici comuni”2.
Ma cos’è che rende così diversi Oriente e Occidente? La prima grande differenza è il metodo.

 

Metodo

Cosa significa metodo? Dal dizionario: “mètodo s. m. [dal lat. methŏdus f., gr. μέϑοδος (methodos) f., «ricerca, indagine, investigazione», e anche «il modo della ricerca», comp. di μετα- (metà) che include qui l’idea del perseguire, del tener dietro, e ὁδός (odos) «via», quindi, letteralmente «l’andar dietro; via per giungere a un determinato luogo o scopo»]”3, ciò che in Oriente prende il nome di tao.
Per cogliere la differenza di metodo o di via tra Oriente e Occidente conviene porre una domanda ulteriore: cos’è la filosofia?
Questa domanda, apparentemente semplice, ha impegnato i filosofi per secoli alla ricerca di una risposta. Banalmente si potrebbe rispondere che la filosofia è una disciplina che pone le altre forme di sapere a suo oggetto, così nascono la filosofia del linguaggio, la filosofia della scienza, la filosofia morale per citarne alcune; ma si può anche definire come forma di sapere universale, che tenta di cogliere coerentemente il molteplice in uno sguardo d’insieme. Questa idea di filosofia come sguardo che tenta di cogliere coerentemente il molteplice è presente nella tradizione Orientale ed emerge brillantemente sin dalle prime pagine di Poematica del principio Tai Chi, ma a parer mio, non è sufficiente come definizione.
Vi è un’altra possibile definizione: la filosofia può esser definita anche come attività, o, direi io, pratica. In Occidente è presente questa idea, solamente che si vede, nella maggior parte dei filosofi l’atteggiamento a considerarla unicamente un’attività spirituale, un’attività del pensiero. Anche questa definizione di filosofia è carente mancando uno degli aspetti più importanti, il rapporto con la vita. Rapporto con la vita che il Maestro Mori recupera brillantemente, tutta l’opera, come dicevo in apertura, è costellata di riferimenti all’applicazione del Principio Tai Chi nella vita. La filosofia quando è un’attività non solo mentale, ma anche corporea diviene saggezza. Il saggio è colui che incarna la filosofia, trovando un equilibrio nella sua vita tra la sua mente e il suo corpo, attraverso attività teorico-pratiche. Il saggio non dice, mostra. Per questo si parla di saggezza Orientale o di antica saggezza greca, in quel periodo che Jasper definiva periodo Assiale, quando theoria, praxis e poiesis erano ancora intimamente unite.
La grande distinzione di metodo, o di via allora si ravvede nella predilezione in Occidente, a partire dai Greci, del Logos, il discorso, mentre in Oriente della pratica legata all’esperienza. Non che non vi fossero discorsi in Oriente, o che non vi fosse pratica in Occidente, dopo il periodo Assiale però, le vie intraprese si sono sempre più separate, per quanto si possano trovare delle eccezioni.
La grandezza dell’opera del Maestro Mori, a mio avviso, sta nel delineare una via che racchiude in sé il Logos Occidentale e la pratica Orientale: “[…] dobbiamo coltivare entrambi: il valore del silenzio e il potere del verbo”4. Partendo dal Principio superiore Tai Chi in quanto principio unificante per cogliere quella che definisce poetica dell’essere.

 

Rapporto Mente-Corpo

Mentre la scienza spiega il “come”, la filosofia si interroga sul “perché” delle cose. Questa ricerca di senso propria della filosofia passa necessariamente attraverso delle domande sul rapporto dell’uomo con il mondo, sul rapporto tra la mente e il corpo e ad altre questioni ad esse connesse. La preminenza del Logos e la separazione dei saperi hanno portato, nel corso della storia, a un progressivo allontanamento della filosofia dalle strade, dalla vita, dai corpi e al rilegamento della stessa a un’attività esclusivamente intellettuale.
Sul panorama occidentale sono presenti delle eccezioni, tra le quali spicca il filosofo francese Henri Bergson (1859 – 1941). Molti lo conoscono come uno spiritualista, questo perché tutto il suo impegno filosofico è stato per lo più di critica verso le tendenze materialistico-deterministiche che durante la sua epoca hanno preso piede togliendo così spazio alla libertà. In realtà egli, andando in controtendenza rispetto alla sua epoca, ha sviluppato un pensiero con l’obiettivo di riconciliare la mente con il corpo e l’uomo con il mondo, tentando di ricomprendere tutti questi dualismi in un’unità che è la realtà. Questo porta a una ricomprensione del rapporto tra teoria e pratica: la conoscenza in Bergson è sempre rivolta all’azione.
Alla fine di questo breve confronto tra il Taoismo e il pensiero bergsoniano si comprenderà il valore dell’opera del Maestro Mori. Per ora andiamo brevemente ad analizzare assonanze e dissonanze tra questi due pensieri.

 

Il linguaggio

La prima assonanza che emerge sta proprio nel linguaggio, nell’attitudine nei confronti del linguaggio:
Per i Taoisti il valore del linguaggio non si annette tanto alla sua capacità descrittiva e analitica, quanto alla sua strumentalità. Non si ritiene che con il linguaggio si possa scoprire una qualsivoglia verità di ordine teoretico5. Essi ritengono che il linguaggio sia insufficiente a cogliere il Tao, esso è indicibile e il Tao che si può dire non è il Tao costante.
Un’attitudine simile nei confronti del linguaggio si può ravvisare anche in Bergson. Il linguaggio è uno strumento utile per la nostra vita, ma quando le cose, che possiedono un loro dinamismo, vengono poste in un discorso queste vengono spazializzate, cioè vengono poste in uno spazio, perdendo la loro dinamicità. In breve, la vita non si può dire, si mostra.
Questa idea di linguaggio come strumento che non riesce a cogliere nella sua totalità la realtà, ma che anzi, quando ci prova la riduce, porta sia il Taoismo che Bergson ad utilizzare un linguaggio metaforico, cioè un linguaggio che non mira a descrivere e cogliere la verità, ma a farla emergere attraverso delle immagini, nel caso dei Taoisti addirittura attraverso dei paradossi. Ed è proprio un paradosso, uno dei paradossi di Zenone, a far comprendere a Bergson il dinamismo del reale, a partire dal quale egli sviluppa uno dei concetti cardine del suo pensiero: il concetto di durata.

 

La durata

Ne Il saggio sui dati immediati dell’intelletto, pubblicato nel 1889, Bergson sviluppa il concetto di durata. La durata è il tempo della coscienza che è diverso dal tempo esterno, degli orologi che egli definisce spazializzato in quanto posto in uno spazio. La durata invece, essendo tempo interiore, è dinamica, è il tempo della vita nel suo compiersi; infatti, viene anche definita dall’autore un atto in atto. Quando la durata viene spazializzata allora si perde la libertà.

 

Il corpo

Nella sua opera Materia e memoria, pubblicata nel 1896, Bergson riprende le considerazioni sviluppate sulla durata. In quest’opera si analizza il concetto di memoria e quello di materia per comprendere il rapporto mente-corpo-mondo.
La materia viene ripensata attraverso la nozione di esperienza, questa è ciò che precede tanto la coscienza quanto l’elaborazione del concetto di materia. La materia è una esperienza trans-individuale, esperienza pura, che non è esperienza di qualcuno, ma esperienza di nessuno, un puro accadere che Bergson chiama immagine. La materia è un insieme di immagini: l’immagine la pensiamo come il senso comune, quando vediamo la realtà vediamo una sintesi tra qualcosa che è corpo perché la realtà materiale c’è e qualcosa che aggiungo io. L’apertura dei sensi è il luogo di disvelamento delle immagini. Tra tutte le immagini ve n’è una che risalta che è il mio corpo, che è l’unica immagine che riesco a vedere da dentro e da fuori, perché lo percepisco come materia e anche come durata. Il mio corpo è l’unico accesso che ho alla totalità delle immagini, questo mi consente di capire come funziona un’immagine particolare, il mio corpo funziona come prassi, come durata, azione. Il corpo è sempre un assetto particolare che consente di rappresentare, solidificare il mondo delle immagini. Il corpo è la coagulazione di ciò che ha, in quanto immagine, una durata continua.
Bergson vuole tenere tutto nella dimensione dell’immanenza, non pensa il rapporto tra corpo e pensiero, come un rapporto causa-effetto, ma piuttosto definisce questo rapporto in una dimensione immanente. La memoria è l’accesso al rapporto tra spirito e realtà, si avrà una memoria più adiacente allo spirito, il ricordo e una memoria più vicina alla materia, l’abitudine. In questo senso l’azione volontaria non è altro che una sorta di selezione, la memoria agisce selezionando il percepito, facendo emergere alcuni tratti del percepito a discapito di altri, ha una funzione co-struttivista, pratica, ma non attiva, quanto piuttosto riflessiva, è come una rete che si deposita sul percepito facendo passare alcune cose a discapito di altre, la ripetizione è la definizione delle maglie della rete. Questo modo di essere situato proprio del nostro corpo dipende dalla struttura fisica che il corpo ha, dai suoi dispositivi motori, e determina ciò che gli rimane, non c’è una memoria che agisce selettivamente, c’è un corpo messo in una certa relazione con i suoi dispositivi motori che reagiscono e in questo coincide il processo di selezione. L’abitudine è legata all’assetto del corpo, il corpo trattiene ciò che riconosce, mentre i ricordi trattengono le diversità. Quando percepisco ho un assetto mnemonico che è l’insieme di tutti gli altri assetti mnemonici passati, ricordi e oggetti percepiti. In ciascuna parte di materia c’è la percezione attuale di quel corpo che ha su di sé le infinite percezioni di quel corpo, che sono tutte le memorie dentro il quale quel corpo è entrato.
Si comprende adesso l’importanza che il corpo ricopre nel pensiero bergsoniano; infatti, senza il corpo e l’apertura dei sensi non avremmo accesso alla realtà. Inoltre, fondamentale è l’abitudine, la ripetizione che permette di cogliere la realtà definendo le maglie della nostra percezione della stessa. Un’importanza altrettanto profonda ricopre il corpo nelle tradizioni Orientali, come dice il Maestro Mori il Tai Chi Chuan è una poesia gestuale, una meditazione in movimento che, attraverso l’affinamento del corpo e dei sensi, grazie alla ripetizione, conduce a uno sviluppo interiore portando il praticante ad acquietarsi e ad armonizzarsi con se stesso, con gli altri e con il mondo.

 

Dinamismo del reale

Il pensiero Orientale ha sviluppato queste pratiche osservando la realtà, a partire da essa hanno compreso il Principio Tai Chi che regola tutto il reale. Per il pensiero Orientale la realtà è dinamica:
Secondo la tradizione Taoista: Il Tao genera l’Uno, tutta la realtà la cui unità si manifesta nel soffio originario lo Yuanqi. Il dinamismo del soffio, che è la modalità stessa d’esistenza del Tao, mostra che il Tao non è statico, ma esso si diversifica nella dualità dello Yin e dello Yang. Per superare la contrapposizione questa dualità viene animata dal vuoto o Chongqi, così nella relazione ternaria vi è la possibilità del mutamento. Questa relazione ternaria porta alla generazione dei diecimila esseri. In breve nel passaggio dal Tao ai diecimila esseri, si assiste al dispiegarsi dell’Uno e del molteplice, processo in cui il soffio originario si suddivide e si diversifica condensandosi nella realtà6. Il modo d’essere del Tao è la spontaneità, il Qi è il suo ritmo. Lo stesso modo d’essere è proprio a tutto ciò che è nell’universo, così secondo i Taoisti l’uomo deve armonizzarsi al Tao, deve seguire la via della spontaneità.
Si può trovare un parallelismo tra quanto detto pocanzi e l’Élan Vital bergsoniano. Bergson nel 1907 pubblica L’evoluzione creatrice, opera il cui tema fondamentale è il vivente, quali sono le caratteristiche proprie della vita e come queste la determinano. Per Bergson la vita è durata, il principio vitale della materia, che introduce un elemento di imprevedibilità. Inizialmente la durata in Bergson era solamente la nostra interiorità. Ne L’evoluzione creatrice bisogna pensare la durata, anche degli oggetti materiali, c’è la durata di un tutto che non è animale, o uomo. In quest’opera Bergson pone l’individuo come organismo, come un essere dinamico. Quando si parla di individuo lo si intende come qualcosa di finito, di definito; perciò, il filosofo preferisce parlare di organismo, composto da parti interconnesse tra loro, vi è nell’organismo un rapporto tra micro (le parti) e macro (l’intero). L’organismo essendo vivente è dinamico, in continuo movimento perché attraversato da un principio vitale, l’Élan Vital.
L’Élan Vital è come il Qi, questo principio vitale che pervade la materia e che non si può isolare, è un principio dinamico che attraversa tutti i diecimila esseri, tutto il reale. L’opera bergsoniana vuole mostrare un dinamismo della realtà e un rapporto tra le parti e il tutto che si può mettere in relazione a quello presente nel pensiero cinese da oltre XX secoli.

 

Società

Sono emerse già molteplici punti di incontro tra Bergson e il Taoismo, ma prima di arrivare alle conclusioni vorrei parlare degli ultimi due aspetti che derivano direttamente dalle considerazioni poste finora: la società e la pratica.
I Taoisti ritengono che l’uomo debba tornare a vivere secondo la natura, in società piccole e autarchiche, senza contatti le une con le altre, abbastanza vicine da sentire il canto del vicino, ma abbastanza lontane da evitare ogni conflitto. Per quanto la Via Taoista sia una Via prettamente individuale, queste piccole società favoriscono il cammino che porta all’armonizzazione con la natura.
D’altro canto, Bergson figlio del suo tempo, ritiene che quanto più ci sarà la possibilità di andare verso una società dematerializzata in cui il lavoro diventerà più automatizzato, tanto più l’uomo sarà liberato dalla fatica del corpo così favorendo una maggior frequenza di rivelazioni all’interno della società portando più libertà. Nello stato bergsoniano c’è meno natura, più diritto, più formalità, vige l’astrattezza, la legge piuttosto che la violenza. In breve, per Bergson solo in un mondo iper-meccanico l’uomo può coltivare la propria interiorità.
Nella visione della società Bergson e il Taoismo si pongono agli antipodi; per quanto Bergson, ne Le due fonti della morale e della religione del 1932, afferma anche quanto segue:

[…] [D]elle macchine […] che convertono in movimento delle energie potenziali accumulate durante milioni di anni, hanno dato al nostro organismo un’estensione così vasta ed una potenza così formidabile, così sproporzionata alla sua dimensione e alla sua forza, che sicuramente non era stato affatto previsto nel piano di struttura della nostra specie: fu un’occasione unica, la più grande realizzazione materiale dell’uomo sul pianeta. […]. Ora, in questo corpo smisuratamente ingrandito, l’anima resta quella che era, troppo piccola ora per riempirlo, troppo debole per dirigerlo. Da qui il vuoto tra questo e quella. Da qui i temibili problemi sociali, politici, internazionali, che sono altrettante definizioni di questo vuoto e che, per colmarlo, provocano oggi tanti sforzi disordinati ed inefficaci; ci vorrebbero delle nuove riserve di energia potenziale, questa volta morale.7

L’autore mostra preoccupazione dinnanzi al grande sviluppo meccanico-tecnologico. Grazie ai progressi della scienza e della tecnica il nostro corpo si è espanso a dismisura, ma la nostra anima è rimasta la stessa e da questa differenza tra il corpo e l’anima nascono i problemi contemporanei. Servono, secondo l’autore, delle energie morali che permettano di espandere la nostra anima per guidare il nostro corpo. Bergson, riconosce il dinamismo presente nel reale, risolve i problemi a livello teorico tra mente e corpo e tra uomo e mondo, ed indica anche un modo per coltivare la nostra anima: seguire la Via dei santi, anche detti mistici.
Ci rimane da esaminare allora come i due pensieri hanno affrontato il tema più importante: la pratica.

 

La pratica

I Taoisti ritengono che sia necessario un percorso interiore. Questo percorso di coltivazione interna per i Taoisti avviene attraverso l’applicazione del principio Tai Chi in diverse pratiche psico-fisiche quali: il Gong Fu, il Qi Gong e le pratiche meditative. Vi è una dimensione pratica imprescindibile in cui corpo e mente vengono lavorate insieme per lo sviluppo di un’armonia interiore ed esteriore, per cui la pura teorizzazione non è sufficiente, il corpo deve esser coinvolto.
Secondo Bergson il corpo è il ponte tra coscienza e mondo, ed è perciò fondamentale. L’unica pratica che si può ritrovare in Bergson è definita esperienza mistica, riferita principalmente a quella delle esperienze dei mistici cristiani. Per l’autore l’esperienza mistica è la capacità di porsi in perfetta sincronia con il processo vitale (Élan), con il processo evolutivo. Essa è la capacità di esser parte di un processo che ha una sua evoluzione e di comprendere il carattere creativo e libero di questa evoluzione, è la capacità di sentire nella propria esperienza storica l’espressione di questo processo creativo che, nell’opera Le due fonti della morale e della religione, Bergson chiama Dio. L’esperienza mistica, quindi, è uno sforzo di carattere pratico, che oltrepassa i suoi limiti, oltrepassa la contemplazione, così da continuare e prolungare l’azione divina, dando un contributo al processo creativo divino.
L’esperienza mistica bergsoniana si configura come un percorso ascendente che apparentemente nulla ha a che vedere con la Via Taoista che invece è un percorso discendente verso la natura. Secondo alcune letture, tra cui quella del Maestro Mori, questi due percorsi però non si escludono, natura e misticismo possono convergere.

 

Conclusione

Nel pensiero Orientale, la pratica è sempre stata il centro da cui partire e a cui tornare, ogni teorizzazione nasce dall’esperienza, e dalla visione dinamica che si ha della realtà. Dal punto di vista morale con Confucio per la convivenza degli uomini tra di loro e dal punto di vista individuale per l’armonia con la natura, con il Tao dei Taoisti si mostra radicata nella cultura cinese l’idea della necessità di una coltivazione interiore. Bergson e il pensiero Orientale possono avere delle assonanze su alcuni temi, però bisogna ricordare che Bergson rimane un uomo pienamente Occidentale e radicato nella sua cultura a tutti gli effetti. Questo intervento non voleva dipingere Bergson come un “Taoista Occidentale”, perché non lo è, quanto piuttosto mostrare che le due culture possono entrare in contatto sia dal punto di vista dialogico che pratico.
Amina Crisma nella sua recensione ravvede la possibilità di questo incontro nell’opera del Maestro Mori:

[…] Questo libro di Mori ci rammenta che i testi rinviano non a un ambito meramente e astrattamente intellettuale, ma a una corposa globalità dell’esistenza, in cui le parole valgono in quanto additano una dimensione di esperienza che è anche al di là (o al di qua) delle parole, e in cui le pratiche, i saperi del corpo e della mano, la gestualità silenziosa, l’esemplarità vivente hanno un ruolo essenziale. […] Esso […] mi sembra additare, al di là di molte, ben note e ineludibili differenze, tutto un fertile e plurale terreno di convergenze inedite, di spazi di conversazione e di sorprendenti interazioni da scoprire.8

L’opera Poematica del Principio Tai Chi del Maestro Mori coglie in pieno la possibilità di una convergenza in senso non solo filosofico, ma più ampio, auspicando una Via che comprenda entrambe. Per questo l’autore sviluppa quella che egli chiama Taologia del processo, così definita: “Taologia del processo è alfine il procedere creativo e adattativo nell’impermanenza delle condizioni, nelle forme oggettive dell’esistere e in quelle soggettive del vivere, dell’esprimere ognuno la propria natura, seguire la direzione d’una praticabile e irraggiungibile saggezza, cogliere la più autentica poetica dell’essere”9.
La grandezza di quest’opera sta proprio nel cogliere l’opportunità nell’incontro tra Oriente e Occidente attraverso il principio superiore Tai Chi, principio che permette di cogliere il reale nella sua organicità superando le singole narrazioni giungendo a una Poematica del principio che sia “narrazione del tutto”. Questa inclusività delle differenze è avviata attraverso la taologia del processo prima descritta. La taologia del processo non è un semplice fare, ma una “prassi adattiva, una prassi che si adegua alla situazione contingente nell’inconoscibile complessità del tutto osservabile solo dopo averla attraversata”10. L’attraversamento porta a cogliere che il valore del viaggio non sta nella meta quanto piuttosto nel percorso. L’attraversamento porta a cogliere la poetica del vivere.
In conclusione, quest’opera porta a una consapevolezza, approssimandovi ad essa vi ritroverete in viaggio, un andare in cui si parte con lo zaino pieno, e si finisce con lo svuotarlo sempre più. Cheng Man Ch’ing diceva che bisogna investire in perdita: investire nella propria interiorità vuol dire esser capaci di accettare la sconfitta esteriore perché la pratica del Tai Chi Chuan è un percorso che può esser fatto solamente svuotandosi. Applicato alla vita ci insegna che solo da vuoti si può esser davvero pieni perché solo da vuoti possiamo davvero accogliere.

 

Testo della presentazione fatta alla ‘Biblioteca CaNova’, Firenze 8 Novembre 2022

 

 

Bibliografia

Bergson H., Materia e memoria. Saggio sulla relazione tra il corpo e lo spirito, Laterza, Roma-Bari 1996
Bergson H., L’evoluzione creatrice, BUR, Milano, 2012
Bergson H., Le due fonti della morale e della religione, Laterza, Roma-Bari, 2020
Bergson H., Saggio sui dati immediati della coscienza, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2002
Cheng A., Storia del pensiero cinese, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, 2000
Mori M., Poematica del principio Tai Chi, Edizioni Clichy, Firenze, 2020
Mori M., Poematica del principio Tai Chi: Libretto di recensioni

 

 

Note

1 M. Mori, Poematica del principio Tai Chi: Libretto di recensioni.
2 M. Mori, Poematica del principio Tai Chi, Edizioni Clichy, 2020, 165.
3 https://www.treccani.it/vocabolario/metodo/
4 M. Mori, Poematica del principio Tai Chi, Edizioni Clichy, 2020, 166.
5 Cfr. A. Cheng, Storia del pensiero cinese, 15.
6 A. Cheng, Storia del pensiero cinese, 202-203.
7 H. Bergson, Le due fonti della morale e della religione, Laterza, 2020, 227-228.
8 M. Mori, Poematica del principio Tai Chi: Libretto di recensioni.
9 M. Mori, Poematica del principio Tai Chi: Libretto di recensioni, 5.
10 M. Mori, Poematica del principio Tai Chi, Edizioni Clichy, 2020, 43.

 

 

Riccardo Merigioli: laureato in Filosofia sta terminando la laurea magistrale in Scienze Filosofiche presso l’Università di Bologna con una tesi sul rapporto mente-corpo nella tradizione Orientale ed Occidentale. Il suo studio è in particolare riferito al filosofo Henri Bergson, al M° Cheng Man-Ch’ing ed al M° Massimo Mori per il suo libro. Da vari anni pratica Wing Chun, Tai Chi Chuan e Qi Gong alla scuola San Bao del M° Simone Sebastiani.